Soriano, il “buen retiro” di Massimo Wertmuller

di Arnaldo Sassi

 

Sicuramente è uno che va al massimo. Tanto che Massimo è il suo nome di battesimo. Con un cognome pesante: Wertmuller. Che fa pensare subito a una certa Lina (scomparsa alcuni mesi or sono all’età di 93 anni), grandissima regista, scrittrice e sceneggiatrice, protagonista nel secolo scorso.

Lui è il nipote. E ha ereditato sin da bambino il vizio di famiglia: quello del cinema e del teatro. Ma di passioni ne ha in abbondanza. Come quella per la campagna e per la natura, tanto da averlo spinto a trovare quello che si chiama comunemente “buen retiro” alla periferia di Soriano nel Cimino, in piena terra di Tuscia.

“Non è stata una scelta facile – esordisce – né immediata. Con mia moglie Anna cercavamo un posto tra la Tuscia e la Sabina per poter trascorrere periodi di riposo e di tranquillità. E, grazie a un amico immobiliarista del posto, siamo sbarcati a Soriano nel Cimino. Mia moglie, che era la più difficile da convincere, è stata la prima a innamorarsi della casa, che si trova a circa tre chilometri dal centro storico, immersa nella natura. E così abbiamo deciso di fare il grande passo…”.

Tutto diverso rispetto a Roma…

“Sicuramente sì. Roma è una delle città più belle del mondo, ma negli ultimi dieci anni è peggiorata molto. E così si sente il bisogno di una valvola di sfogo, dove la qualità dei tempi è non è la stessa. C’è anche un modo completamente diverso di concepire i rapporti tra le persone. A Soriano, se tu saluti ti risalutano, se tu sorridi ti sorridono. Insomma c’è un clima di estrema familiarità che ti fa stare bene”.

E il resto della Tuscia lo conosce?

“Confesso di non aver girato molto, ma amo Viterbo, che è una città medievale meravigliosa. E poi di Viterbo ho due ricordi: uno molto bello, l’altro purtroppo meno. Al teatro dell’Unione infatti feci il rodaggio di uno spettacolo tra i più importanti cui ho partecipato, con la compagnia dei giovani, che oggi non c’è più. Era un lavoro di Giuseppe Patroni Griffi e si intitolava ‘D’amore si muore’. L’altro ricordo è molto meno bello: mentre stavo tornando a Roma proprio dal teatro dell’Unione mi arrivò la notizia della morte di papà. E a poche ore da quell’evento dovetti andare in scena per la prima al teatro Giulio Cesare. Comunque per me il teatro dell’Unione è stato un luogo fondamentale, associato ovviamente alla presenza dii Patroni Griffi”.

Come è quando è nata la passione per il cinema?

“Beh, se hai un genio in casa non è difficile. Io da adolescente ho mangiato pane e cinema anche se avevo una passione parallela per il teatro. Ho dei ricordi stupendi di quando frequentavo il liceo e si facevano le cosiddette rappresentazioni teatrali. Io facevo la voce di Iacopone da Todi da dietro la porta di uno sgabuzzino pieno di scope e la cosa mi commuoveva e mi appassionava. Poi, coi compagni di scuola, fondammo una specie di compagnia teatrale. E invece di andare in discoteca, come tutti gli altri ragazzi, ci divertivamo a fare le nostre rappresentazioni in un garage. E con la paghetta che ci davano i nostri genitori compravamo le cose di scena. Dalle luci ai costumi, che talvolta erano propri e veri stracci. Ma ci divertivamo un mondo. Insomma, quella per il teatro è stata una vera passione allo stato brado. Ma non da meno quella per il cinema. Ancora oggi se con la macchina passo vicino a un set, rallento e mi fermo a guardare”.

Il cognome che porta le è stato di peso o d’aiuto?

“No, non mi è stato d’aiuto. Perché ti fa ritrovare dentro un confronto impossibile. E poi io i lavori più importanti non li ho fatti con mia zia, bensì con registi come Gigi Magni ed Ettore Scola”.

Lei ha frequentato anche il laboratorio teatrale di Gigi Proietti…

“Quella è una pagina indimenticabile della mia vita professionale, anche perché stavamo sempre insieme. Per chi voleva fare l’attore Proietti era il miglior maestro esistente. Quando lui ti diceva ‘Levete e guardeme a me’ ti dava praticamente la sua anima. Era come un fratello maggiore. E poi, la sera, a cena, andava in scena il secondo spettacolo, quello più esilarante”.

E’ anche impegnato anche nel sociale…

“Sì, ho fatto delle cose per Medici senza frontiere e, se mi dovessero richiamare, sono pronto. Poi mi stanno molto a cuore i diritti degli animali. Gli animali mi commuovono, mi rubano il cuore. Gli esseri umani sempre meno. Io piango per un animale ammazzato in malo modo e non lo faccio per un cristiano. Occuparsi degli animali dà un senso fortissimo alla vita, che lo stesso lavoro che tu ami enormemente non ti dà”.

Adesso parliamo di calcio. Anzi, della sua Roma…

“Allora, da piccolissimo prima di dire ‘mamma’ io ho detto ‘forza Roma’.  Da bambino ci ho anche provato a giocare. Ho frequentato proprio i corsi della Roma. Ma ero più largo che lungo e allora mi sono detto ‘ma ‘ndo vai?’ E ho abbandonato. Ma la passione per la ‘magica’ è rimasta tutta”.

Il film che le è entrato maggiormente nell’anima?

“Senza dubbio ‘In nome del popolo sovrano’, quello diretto da Gigi Magni. Con Alberto Sordi e Nino Manfredi”.

Quando tornerà a Soriano?

“Appena finiti i lavori che si stanno facendo alla mia abitazione. Penso i primi di luglio”.

 

Foto Massimo Wertmuller  con  Rutelli e Di Piazza sul palco del premio Pietro Calabrese  2022

 

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