Cosa accade nell’animo di un ebreo ungherese sopravvissuto ai campi di sterminio?
Nella mente e nel corpo di un grande artista e famoso architetto ungherese che decide di ricominciare approdando nell’America di fine degli anni ’40 per cercare fortuna?
In una mente abitata da demoni e in un corpo esilissimo, magro da far paura e provato dal dolore?
Il visionario architetto unghere ebreo László Tóth lo imparerà a sue spese, in un’America che tradisce il sogno americano, come si evince dalla prima inquadratura del film che evidenzia un statua della libertà capovolta.
Pronto a ricominciare, costi quel che costi, László cerca di far valere il suo enorme talento e la sua visionarietà per far approdare nel nuovo continente l’amata moglie Erzsébet e la nipote, anche loro sopravvissute ai campi di sterminio.
Riuscirà a ricongiungersi con la sua famiglia, pagando un prezzo altissimo, in un’America ostile e diffidente nei suoi confronti.
Coprotagonista del film diretto da Brady Corbet, oltre ad un Adrien Brody, di incommensurabile bravura nella sua discesa agli inferi, è l’architettura brutalista, capace di evidenziare ciò che l’uomo lascia a testimonianza del suo passaggio sulla terra.
In fondo dichiarerà László “ciò che conta è la meta non il viaggio”.
Luci e ombre, bene e male, sogno e dura realtà, America e Europa, Inferno e Divino sono alcuni dei temi trattati in The Brutalist in maniera egregia, senza mai annoiare lo spettatore per 215 minuti.
L’arroganza del denaro, magistralmente rappresentata da Harrison Lee Van Buren, interpretato egregiamente da un affabulatore e odioso Guy Pearce, anche lui candidato all’Oscar come Adrien Brody, pone il continente americano con le sue contraddizioni e i suoi sogni in antitesi con un’Europa più attempata e pronta a ricominciare a fatica.
Il tema del doppio attraversa l’intero il film che mostra una scenografia impeccabile, pronta regalare visioni oniriche, il pensiero va alla Cava di Carrara e al suo sotterraneo inferno dove il protagonista viene abusato dal magnate americano che riconosce sì il suo genio, ma soffre per non poterlo controllare e per esserne privo.
Il denaro può comprare tutto ma non può arrivare a fornire il talento a chi non lo possiede.
Duro, vero fino a fare male, il film sorprende lo spettatore e lo guida nel regno degli inferi per ricondurlo poi alla luce, quella luce, quelle altezze, quelle vette che instancabilmente László cerca di ricostruire con la sua architettura, senza mai rinunciare, a prezzo di non venir pagato, privandosi dei proventi.
Architettura che riproduce anche quella usata per la costruzione dei campi di sterminio che László bene ha conosciuto ed odiato.
Talento, passione, ma anche dolore, solitudine e miseria guidano il protagonista del film che tocca vette altissime e infiniti dolori, dipendenza da alcol e droga unito però ad un amore per la sua professione e ad la fiducia nel suo smisurato talento.
L’arte che salva dal dolore della vita, dalle atrocità della vita, l’arte come testimonianza e memoria del proprio tempo e l’arte come volano che conduce lontano che vola sulle miserie umane.
The Brutalist è in programma al CineTuscia Village di Vitorchiano e al Cinema Etrusco Arthouse di Tarquinia.