Tuscia in pillole. A Gradi con santi, pontefici e banditi

di Vincenzo Ceniti

chiesa di Santa Maria in Gradi

Da san Domenico a  Gaspare Pisciotta (luogotenente del bandito Salvatore Giuliano) il passo è lungo e di mezzo c’è una folla di pontefici, imperatori, santi, assassini, brigatisti, malfattori e benefattori. Alcuni li conosciamo: Clemente IV (alla sua morte a Viterbo nel 1268 seguì il primo e più lungo conclave della storia della Chiesa), Urbano IV (istituì il Corpus Domini), san Tommaso d’Aquino, san Bonaventura da Bagnoregio, Carlo d’Angiò, Filippo il Bello, Arnaldo Graziosi (accusato di uxoricidio).

Sono  gli ospiti in fasi alterne di Santa Maria in Gradi a Viterbo  da  quando il cardinale Raniero Capocci agli inizi del Duecento fece dono a san Domenico di Guzman di un chiesetta con un piccolo eremo in località Caponino poco fuori le mura cittadine, eretta  su un masso tufaceo circondato da boschi degradanti in terrazze. Da qui l’appellativo “in Gradi”. Avrebbe dovuto accogliere un primo nucleo di predicatori del nascente Ordine  dei Domenicani. Nella Magna Carta si legge  povertà mendicante e assoluta. Secondo la tradizione, il Capocci avrebbe agito su indicazione della Madonna apparsale in sogno.

Oggi la chiesa, in parte distrutta dai bombardamenti del 1944, è ancora in lista di attesa per essere ristrutturata, dopo un incompiuto  interevento di alcuni decenni  fa.   E’ rimasta l’unica a Viterbo in queste precarie condizioni. Diverso il destino dell’annesso ex convento domenicano, oggi completamente restaurato e sede dal Duemila del  Rettorato e di alcuni Dipartimenti dell’Università della Tuscia.

Praticamente i viterbesi non sono mai entrati nella chiesa di  Santa Maria in Gradi, dal  momento che da fine Ottocento al 1992 è stata pertinenza carceraria dell’adiacente penitenziario.   Fungeva  da laboratorio dei detenuti per lavori di tessitura, tintoria, sartoria e falegnameria. La chiesa venne poi danneggiata dalla guerra e isolata dal contesto cittadino. Ma i viterbesi l’hanno sempre considerata come una matriarca, teatro peraltro delle vicende più importanti della città. Ebbe anche il privilegio, nel giubileo del 1450,  di avere  una Porta Santa  aperta alla presenza di papa Nicolò V in sosta a Viterbo per curarsi il mal di pietra presso la sorgente sulfurea del Bulicame.

Intitolata inizialmente a Maria Annunziata (in linea col sogno di cui dicevamo), conobbe nel tempo vari ampliamenti e ristrutturazioni per calamità naturali e distruzioni vandaliche (il portico venne aggiunto intorno alla metà del XV sec.) e riaperta con varie cerimonie di consacrazione spesso presiedute da  pontefici, come quella del 1258 da parte di  Alessandro IV.  Il terremoto degli inizi del Settecento costringerà i monaci domenicani ad una radicale ristrutturazione dell’edificio, che venne affidata  a Niccolò Salvi, quello della fontana di Trevi a Roma.

Se san Domenico ed i suoi nobilitarono il luogo tra preghiere, sermoni e carità, Gaspare Pisciotta con la sua permanenza durante il processo celebrato a Viterbo nel 1952 per la strage di Portella della Ginestra del 1947 (11morti)  dette alla città quel tanto di notorietà da portarla sulle prime pagine di quotidiani e riviste. Si racconta che la madre del bandito, Rosalia, in quei giorni si fosse trasferita a Viterbo affittando una camera nel centro storico, a breve distanza dal penitenziario, per controllare personalmente il cibo che veniva somministrato al figlio. Precauzione che gli valse a poco, se nella successiva detenzione  dell’Ucciardone a Palermo Gaspare morirà per avvelenamento nel 1954.

ll penitenziario di Gradi salì agli onori della cronaca anche qualche anno dopo  per aver ospitato Arnaldo Graziosi, accusato di aver ucciso la moglie nel 1945. Verrà graziato nel 1959 dall’allora presidente della Repubblica Giovanni Gronchi. Il “fatto” ebbe una grande eco a livello nazionale, Furono ospiti di Santa Maria in Gradi  pure  tre “galantuomini” della camorra napoletana Enrico Alfano, Giovanni Rapi e Gennaro De Marinis mandanti dell’omicidio (1906) di Gennaro Cuocolo e della moglie Maria Cutinelli. La cella di Gradi si aprì nel 1980 al “killer dagli occhi di ghiaccio” Michele Viscardi terrorista di “Prima linea”  per l’omicidio dei Carabinieri Pietro Cuzzoli e Ippolito Cortellessa.in seguito alla rapina ad una filiale di Viterbo della Banca del Cimino.

Ricerche archeologiche operate nella chiesa in questi ultimi tempi –  propedeutiche ad un probabile e risolutivo cantiere di  ristrutturazione – hanno fornito notizie sorprendenti, come le tracce di un  primitivo insediamento e di una conduttura per il rifornimento dell’acqua da una sorgente a monte della costruzione, utile non solo al convento, ma anche alla zona di porta Romana e alla Fontana Grande nella vicina piazza omonima.

Oggi le trasformazioni operate dal Salvi nel primi decenni del Settecento ci indicano la presenza di sovrastrutture tardo barocche nelle colonne, nella volta e nelle decorazioni con un ampio presbiterio di stile neoclassico a cielo aperto che dopo i lavori di restauro probabilmente rimarrà tale, assicurando alla parte terminale dell’edificio una soluzione esterno-interno di prevedibile suggestione.

Nella foto del 1930, la chiesa di Santa Maria in Gradi a Viterbo destinata a falegnameria per i detenuti

 

L’autore*  

ceniti

Console di Viterbo del Touring Club Italiano. Direttore per oltre trent’anni dell’Ente Provinciale per il Turismo di Viterbo (poi Apt). È autore di varie monografie sul turismo e di articoli per riviste e quotidiani. Collabora con organismi e associazioni per iniziative promo-culturali. Un grande conoscitore della Tuscia.

COMMENTA SU FACEBOOK

CONDIVIDI