Negli anni Cinquanta-Sessanta del secolo scorso, Viterbo contava una sessantina di Saloni da barbiere rigorosamente per uomini, ubicati soprattutto al centro. Tra piazza del Plebiscito e piazza Verdi – attraverso via Roma, piazza delle Erbe e il Corso Italia – ce n’erano addirittura nove. Un vero e proprio salotto era quello di Dante Mainella, in piazza delle Erbe. Riceveva di regola su appuntamento e un taglio di capelli lo impegnava per oltre un’ora in un lavoro meticoloso a punta di forbice. Barberia “in” anche quella di via Matteotti dal nome intrigante Salone azzurro” di Peppe Buratti. Dal barbiere non si faceva solo salotto. Presso la barberia “Braconcini & Marrazza” (la più longeva, risalendo al 1955) in via dei Magliatori si potevano acquistare, cacio, olio, vino e uova che i contadini lasciavano in deposito il sabato.
Al barbiere Nicola a San Faustino, esperto di meccanica ed elettricità, si ricorreva per accomodare una radio, un motorino o una bicicletta. Fulvio al Pilastro aveva formato presso il suo Salone un club di amici cui rilasciava la “tessera del gojo” (gojo uguale a estroverso, imprevedibile, inaffidabile). Per la sua attitudine allo sport (una cinquantina di incontri di box tutti persi per ko) e la buona conoscenza del corpo umano, alternava a “barba e capelli” massaggi, aggiustamenti di ginocchi e clavicole, stiramenti di muscoli, terapie per tendiniti e cervicali, e così via.
Salone all’insegna dello sport era quello di Edilio Mecarini, storico presidente del “Pianoscarano Calcio” e affermato poeta dialettale. La sua barberia, dentro Porta del Carmine (trasferita poi in via Garibaldi), era il ritrovo di giovani calciatori per un ingaggio o un consiglio.
I clienti della barberia di Cardinali il “tenore”, in via Monte Asolone, erano in buona parte melomani. Durante il “taglio” o la rasatura ascoltavano la sua voce in romanze d’opera e canzoni. Ma si cantava anche in altri Saloni, magari stornelli accompagnati dalla chitarra.
Mecuccio a piazza della Rocca aggiungeva alla “barba e capelli” il servizio di doccia. Il suo Salone era frequentato dai paracadutisti, dai militari della Vam e negli anni della guerra dagli ufficiali tedeschi di stanza nella caserma adiacente alla Rocca Albornoz. E’ da loro che aveva imparato il “taglio a pelle”, detto alla tedesca.
Da parte sua Baleani, in via dei Mille, abbinava ai tradizionali servizi di “barba e capelli” quelli di podologo per pedicure e manicure. Mentre Saverio (detto il Calabrese) in via Bruno Buozzi, che si vantava di essere il cugino di Dalida (alias Jolanda Gigliotti), faceva ascoltare ai clienti i dischi dell’illustre parente. Topolino, in via San Pietro, non elargiva servizi accessori, ma si fa ancor oggi apprezzare per le stigliature anni Settanta del suo locale. Praticamente non li ha mai cambiate.
Ma andiamo ai dettagli. Regola numero uno: camice d’ordinanza (celeste, bianco, verde o avana) dotato di ampio taschino per contenere il pettine d’osso bianco, agile e affusolato. Altra regola, ancora oggi in uso: prima i capelli, poi la barba per evitare che i peli usciti dal taglio si appiccichino sul volto umido del cliente.
La comoda poltrona girevole da barbiere doveva portare la griffe della ditta “Pietra Nera”. Alcune barberie disponevano anche di un seggiolone a testa di cavallo per i bambini. Altra raccomandazione: forbici affusolate e taglienti dal suono scoppiettante, come un cinguettio. Il barbiere doveva essere ironico, sarcastico, ben informato e discreto con i clienti sconosciuti.
Il rasoio veniva affilato sulla “striscia” (o “coramella”), una sorta di bacchetta di cuoio su cui si spalmava l’insetticida “Caudano”. Per la barba si passava prima un velo di pro-raso e quindi col pennello un’abbondante crema all’apparenza dura e collosa dal vago profumo di mandorla che si ammorbidiva con l’acqua calda nella tazza per la “saponata”. L’insaponatura era il momento più piacevole e rilassante. Il rasoio veniva pulito in una vaschetta di gomma di color rosso chiamata “caucciù”, ma si poteva anche provvedere con le comode schedine della Sisal.(il vecchio Totocalcio). Dopo la rasatura si passava sul viso un panno caldo-umido e l’allume di Rocca (un astringente). Quindi un’abbondante spruzzata di Floid dal profumo inconfondibile. Piccole ed eventuali abrasioni della pelle venivano tamponate con una matita emostatica detta “causticche”.
I capelli venivano tagliati con forbici affusolate e la macchinetta azionata a mano (“tosatrice”). Per la tonsura dei chierici si usava uno strumento particolare che definiva il tondo su cui poi si lavorava col rasoio. Il rito del lavaggio dei capelli partiva da una ciambella di gomma che veniva posta sulla testa all’altezza delle orecchie. Il cliente veniva fatto piegare in avanti con il capo riverso nel lavabo. Con il “docciatore”, una sorta di caffettiera dal tappo bucherellato, si irrorava la testa con acqua calda prima dello shampoo e della frizione. Gran finale con la spalmata di brillantina che ungeva i capelli, li tratteneva e li faceva brillare, soprattutto se tirati alla “mascagna”. Infine il ferro caldo per i boccoli e l’”arricciabaffi” che serviva ad indirizzare i mustache nelle direzioni volute dal cliente: alla Vittorio Emanuele II, alla Zapata, alla Stalin, alla Poirot, alla Salvador Dali. Tocco finale, “Ragazzo, spazzola!”.
Nel periodo natalizio il barbiere distribuiva ai clienti il calendarietto profumato, con le foto a colori di ragazze discinte. Per i gusti di oggi roba da prima Comunione. In omaggio anche un pettinino da taschino con la custodia su cui era riportata la pubblicità della ditta.
Nella foto, il barbiere Fulvio Lucaccioni di Viterbo alle prese con il taglio di capelli
L’autore*
Console di Viterbo del Touring Club Italiano. Direttore per oltre trent’anni dell’Ente Provinciale per il Turismo di Viterbo (poi Apt). È autore di varie monografie sul turismo e di articoli per riviste e quotidiani. Collabora con organismi e associazioni per iniziative promo-culturali. Un grande conoscitore della Tuscia.