Tuscia in pillole e in ginocchio

di Vincenzo Ceniti*

san vivenzio pellegrinaggio

Mi perdonerete per il “conflitto di interesse” tra la “pillola” di questa settimana, dopo la pausa pasquale, e il mio libro “Tuscia in ginocchio” di cui vado dicendo. “In ginocchio” sta ovviamente per devozione (ed. Settecittà, pagg. 250, in librerie a Viterbo).

Parliamo di patroni, santi e santini della provincia di Viterbo, diligentemente divisi per comuni, con l’intento di saperne di più su vita, morte e miracoli. Tra loro anche Cristo e Madonne: alcune miracolose, altre addirittura apparse. I particolari sono curiosi, l’ironia è garbata e la fede è ancora sostenuta.

Il santo più umile è Procolo, pastorello di Lubriano che nelle lunghe giornate a contatto con le pecore e il cielo scopriva e lodava Dio. Gli si contrappone, a poca distanza,  Bonaventura da Bagnoregio, dottore della Chiesa, generale dei Francescani e autore della biografia ufficiale di san Francesco. Di grande carisma anche Bernardino che protegge Piansano dal tempo dei Farnese e, soprattutto, le  buone donne di casa. Nelle sue prediche ripeteva “Caro marito la cosa più bella e più utile è avere una moglie grande, buona, savia onesta, temperata”.

Alcuni avevano nomi impossibili che i fedeli più devoti non si privavano però di dare a propri figli, del tipo Gorgonio (Civitella d’Agliano), Trifone (Onano), Nonnoso (Castel S. Elia), Tolomeo (Nepi). Anche un paio di scalognati assassini, Orsio (Veiano) e Giuliano (Faleria) che si macchieranno per errore di delitti mostruosi, nella prospettiva, tuttavia, di dolorose e illuminanti espiazioni.

Tra le donne, a parte Rosa da Viterbo che conosciamo a memoria, si fanno venerare Giacinta (Vignanello) inizialmente ribelle alla vita claustrale, poi illuminata dalla grazia di Dio e Corona (Canepina) che si fece squartare viva pur di non tradire il suo amato Gesù. Dolcissima (Sutri) salvò il paese dagli assalti delle truppe napoleoniche, trattenendo le palle di cannone con il suo grembiule. Grazie a lei nei forni del posto si preparano ancora oggi “dolcetti” esclusivi. Doppio asterisco a Cristina il cui sepolcro è a portata di mano e di preghiera nella collegiata di Bolsena a lei dedicata. Le sue tribolazioni hanno fatto notizia e folclore, tanto che ogni anno a luglio vengono rievocate nei tradizionali “Misteri”.

Fa tenerezza Vivenzio, vescovo di Blera nel V secolo. Lo accusarono di intendersela con una pia donna del posto. Si sentì così offeso e umiliato che se ne andò eremita in una grotta ad una decina di chilometri presso la necropoli etrusca di Norchia. Dopo lunghi sette anni a pane, acqua e rosari, la verità venne a galla e fu riabilitato. I blerani si sentono in obbligo, a Pasquetta e nella seconda domenica di maggio di ogni anno, di fare penitenza  e recarsi di buon mattino in pellegrinaggio a piedi (alcuni addirittura scalzi) alla grotta di Norchia. Partecipano alla messa, cantano, pranzano, giocano e ritornano a Blera, sempre a piedi nel tardo pomeriggio.

Non è patrono di nessun paese, ma resta il santo più popolate della Tuscia. Parliamo di Antonio abate, quello del fuoco, del maiale e degli animali in genere. La sua immagine formato santino era in ogni stalla del Viterbese. La sera precedente la sua festa (17 gennaio) si dà fuoco nelle piazze di molti paesi a gigantesche cataste di legna per propiziare buoni raccolti, salute, pace e benessere. Spettacolare quella di Bagnaia. Ad Acquapendente in suo onore si prepara ancora la minestra di riso e fave, un tempo distribuita ai poveri e oggi gustata come vera specialità da paesani e forestieri. A Sutri due famiglie, appartenenti alle “Società vecchia” e alla “Società nuova”, estratte a sorte ogni anno, ospitano nelle rispettive abitazioni su occasionali altarini lo stendardo con l’immagine del santo. Obbligo per una settimana di fare entrare chiunque ne faccia richiesta per una preghiera al santo, con l’obbligo di un brindisi a base di vino e dolcetti. L’esclamazione “Evviva S. Antonio!” è a Sutri una parola d’ordine.

In quanto alle Madonne, lasciando da parte quelle della Quercia di Viterbo, del Monte di Marta, del Fiore di Acquapendente, del Suffragio di Grotte di Castro, della Neve di Castiglione in Teverina, del Castellonchio di Graffignano, del Rosario di Piansano, di cui si è molto detto e scritto, ci inginocchiamo davanti alla Madonna del Giglio di Ischia di Castro, la cui chiesetta campestre alle porte del paese è sorta in seguito a un miracolo capitato a un pastorello della zona che aveva perduto una pecora. La Madonna gli apparve e gliela fece ritrovare con l’intesa che avrebbe convinto gli abitanti a erigere il santuario. E così fu.

Martedì 6 maggio alle ore 17.00 il libro verrà presentata da Luciano Osbat, direttore scientifico del Cedido (Centro Diocesano di Documentazione), a Viterbo,  in piazza San Lorenzo.  Se venite ne riparliamo.

 

Nella cover, un particolare del pellegrinaggio alla grotta di san Vivenzio a Blera

 

L’autore*

ceniti

Console di Viterbo del Touring Club Italiano. Direttore per oltre trent’anni dell’Ente Provinciale per il Turismo di Viterbo (poi Apt). È autore di varie monografie sul turismo e di articoli per riviste e quotidiani. Collabora con organismi e associazioni per iniziative promo-culturali. Un grande conoscitore della Tuscia.

 

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