Tuscia in Pillole. Isola Bisentina e il pozzo-prigione

di Vincenzo Ceniti*

Tre asterischi per l’isola Bisentina. Emerge, ammantata di verde, dalle acque del  lago vulcanico più grande d’Europa, quello di Bolsena. Accoglie i resti della leggendaria Malta, prigione buia e fangosa  per gli ecclesiastici colpevoli di gravi reati o accusati di eresia. Custodisce  nella chiesa maggiore il sarcofago di  Ranuccio Farnese e i suoi, nobile famiglia che ha dato nel XVI sec. un pontefice, Paolo III.

Da quando è entrata nelle grazie e nel patrimonio della famiglia Rovati, neo mecenati di una invocata rinascenza, l’isola è in odore di santità ambientale e culturale e pronta ad entrare  nell’olimpo delle eccellenze italiane. E’ in atto infatti un provvidenziale progetto di restauro e valorizzazione che già fa notizia e storia. Il suo nome fa eco al villaggio etrusco (Bisenzio) che sorgeva a poca distanza  sulle coste settentrionali del lago. L’isola è oggi a portata di mano, grazie a piccoli battelli in partenza dai porticcioli di Bolsena e Capodimonte che la circumnavigano nei mesi estivi con approdi  programmati e visite guidate.

A osservarla dalla terra ferma –  meglio se dai paesi di Marta e Capodimonte  che le stanno dirimpetto a meno di un chilometro – sembra un dinosauro addormentato che galleggia sull’acqua. Vista dal drone, la sua singolare silhouette si trasforma  in una Y  con varie gradazioni di colori a seconda delle stagioni. Trae origine da un cono eruttivo dell’avvallamento dei Volsini  dopo gli ultimi sconvolgimenti di 120.000 anni fa.

Si distende per circa 700 metri di lunghezza e 500 di larghezza. In gran parte pianeggiante, presenta due rilievi, uno a nord e uno a sud, rispettivamente di 360 metri (monte Tabor) e 326 metri (monte Oliveto) di altitudine sul livello del mare. Accoglie alcune edicole quattro-cinquecentsche con affreschi attribuiti alla scuola di Benozzo Gozzoli. Notevole quella sangallesca di Santa Caterina (la Rocchina) a strapiombo sulle acque.

Le sue coste si prestano a dolci insenature, una delle quali funge da darsena di stile liberty risalente alla fine dell’Ottocento. Molte le piante di importazione seicentesca (eucalipti, magnolie, cedri e palme) in aggiunta a quelle autoctone, come lecci millenari, su cui si intrecciano i voli, ora agili, ora grevi  di volatili stanziali e di passo: nibbio bruno, gabbiani, gheppi, taccole, fagiani, aironi cinerini, cormorani e cornacchie.  In acqua fasci di cannucce proteggono gallinelle, germani reali e anatre. Il microclima favorisce una rigogliosa vegetazione e molte varietà di fiori: rose, camelie, ortensie, gigli e oleandri, circondati da piante di agrumi, fichi, lunghi filari di vitigni, olivi selvatici. 

L’uomo è presente da millenni, come fanno intendere, a largo delle coste, alcuni resti di pali a sostegno di villaggi palafitticoli. In quelle acque  venne ritrovata alla fine degli anni Ottanta,  una piroga preistorica dell’Età del bronzo, oggi custodita nel Museo della Navigazione delle acque interne di  Capodimonte. Si fa apprezzare una chiesa francescana (SS. Giacomo e Cristoforo)  ricostruita alla fine del Cinquecento in maniere vignolesche su una preesistente dedicata a San Giovanni,.con la vecchia cupola  di piombo e  l’antico chiostro. Nell’interno si trova il sarcofago di scuola toscana dei primi Farnese, proveniente dalla vecchia chiesa.  Attraverso i secoli l’isola ha  ospitato  personaggi  di rango (Urbano IV, Pio II, Leone X, Gregorio XIII) e più volte in passato è stata  rifugio per le popolazioni rivierasche del lago di Bolsena  in occasione di invasioni e saccheggi.

Stupisce, sotto il monte Tabor, un pozzo-prigione, detto Malta, di dantesca memoria, cui si accede attraverso un lungo corridoio scavato nel tufo. La camera carceraria è cilindrica (circonferenza di 20 metri alta 6 metri).che nei secoli ha avuto più usi e destinazioni. Al centro della volta si apre la canna del pozzo alta una ventina di metri la cui bocca esterna è protetta da un muro.  Il carcere doveva essere piuttosto buio e con pochissima aria.

La Malta della Bisentina richiama quella di Cittadella Veneta fatta costruire da  Ezzelino Romano  nel 1251.  Nell’isola la prigione avrebbe svolto questo triste compito fino al 1361. Ci suggestiona il pensiero che vi siano stati segregati nel corso degli anni  prigionieri illustri, come Angelario, abate di Montecassino (1295) reo di non  essere riuscito ad impedire la fuga di Celestino V dopo il “Gran rifiuto”, Ranieri Ghiberti, Gran Maestro dei Templari (1299) e un gruppo di monaci di Forlì accusati di eresia (1359). 

Per un brindisi alla Bisentina mettiamoci seduti a tavola in una delle trattorie sulle rive del lago. “Sbroscia” alla pescatora (zuppa di pesce di lago), frittura mare-lago con dovizia di lattarini, e poi  anguille in umido, coregone arrosto o in “salsa martana”. Bianco Est! Est!! Est!!, ma anche Cannaiola di Marta e Aleatico di Gradoli.

Isola Bisentina Rocca
La caratteristica “Rocchina”

 

Nella foto cover l’isola Bisentina vista dall’alto 

 

L’autore*

ceniti

Console di Viterbo del Touring Club Italiano. Direttore per oltre trent’anni dell’Ente Provinciale per il Turismo di Viterbo (poi Apt). È autore di varie monografie sul turismo e di articoli per riviste e quotidiani. Collabora con organismi e associazioni per iniziative promo-culturali. Un grande conoscitore della Tuscia.

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