LA PIROGA DI CAPODIMONTE
Lunga sei metri, età tremila anni, scavata nel tronco di un faggio. E’ la piroga del’Età del bronzo rivenuta nel 1989 nelle acque del lago di Bolsena a largo del’isola Bisentina dal sub Massimiliano Bellacima che oggi si fa vedere e fotografare nel Museo della Navigazione e delle Acque interne di Capodimonte.
Il particolare dell’albero di faggio, che solitamente attecchisce in altitudini più elevate, ne aumenta l’interesse facendo supporre che a quei tempi ci dovevano essere in quelle zone condizioni climatiche e ambientali molto differenti dalle attuali. Il ritrovamento fece notizia, in un posto peraltro ricco di presenze archeologiche per la vicinanza dell’antico abitato di Bisenzio molto attivo in epoca etrusca. Si provvide subito a trovare un sito adeguato per conservarla e fu scelto lo spazio dell’ex mattatoio sul lungolago di Capodimonte, abbandonato da anni, che venne opportunamente ristrutturato.
Dopo il complicato ripescaggio e il trasporto del relitto al porticciolo sottostante il paese, si pose mano ad un lungo e delicato processo di recupero che impegnò ditte specializzate, geologi, tecnici e maestranze dell’allora soprintendenza dell’Etruria Meridionale. Riportare all’aria un legno per secoli imbevuto d’acqua, significava ricreare con sofisticate procedure un lento equilibrio tra umidità e temperatura che durò per molti mesi.
Le operazioni vennero eseguite con molto rigore scientifico, grazie anche all’utilizzazione di tecnologie pluridisciplinari e sostanze come il Peg (tipologia di consolidante) che in passato e in casi analoghi aveva già dato ottimi risultati. Si pensi al galeone Vasa (nave da guerra svedese ) del 1625, al Kinneret boat del lago di Galilea del I sec. a. C. o alle navi vichinghe. La datazione della piroga venne accertata grazie ai metodi del radiocarbonio.
Le due estremità della rudimentale imbarcazione, poiché eguali, fungevano da prua e da poppa, con due anelli. per agevolare le manovre di ormeggio o per collegare tra loro due o più piroghe a mo’ di catamarano. I fori sul fondo, ancora visibili e chiusi da tasselli di legno, servivano a controllare lo spessore del fondo della barca durante la lavorazione dello scafo.
Va ricordato che da quel modello di piroga presero forma le tradizionali barche da pesca delle acque interne, tra cui la “barkka” del lago di Bolsena usata fin dal Medioevo nei bacini lacustri del centro Italia (tra cui il Trasimeno) e probabilmente quella del lago di Posta Fibreno (nel sud del Lazio) detta la “naue” la cui forma longitudinale senza strutture portanti ci riporta alle origini delle imbarcazioni monossile
Il Museo di Capodimonte ospita, oltre alla piroga, una nutrita serie di utensili per la pesca, resti di imbarcazioni, modellini abilmente ricostruiti, foto, video e documenti che offrono un’ampia panoramica sulla vita e l’economa delle acque interne con particolare riguardo al lago di Bolsena. Reti di ogni fattura, strumenti per la pesca a traino, “filarelle” per catturare le anguille, “pignatte” per la preparazione dello “sbroscia (zuppa di pesce di lago), diorami che illustrano i tradizionali insediamenti dei pescatori con le “cappanne”, fatte di canne palustri, usate fino a qualche decennio fa,.modellini di imbarcazioni (dalla primordiale zattera), usate in vari bacini lacustri d’Italia (lago Trasimento, lago di Bracciano, lago Maggiore, stagno di Cabras in Sardegna,ecc.)
Apertura estiva il fine settimana. D’estate da martedì a venerdì; ingresso euro 2,50 (ridotto 1,50); info cell. 339.1364151 e mail museo.capodimonte@gmail.com.
Nella foto, la piroga di Capodimonte
L’autore*
Console di Viterbo del Touring Club Italiano. Direttore per oltre trent’anni dell’Ente Provinciale per il Turismo di Viterbo (poi Apt). È autore di varie monografie sul turismo e di articoli per riviste e quotidiani. Collabora con organismi e associazioni per iniziative promo-culturali. Un grande conoscitore della Tuscia.
La rubrica Tuscia in pillole si ferma nel periodo estivo, riprenderà dal 9 settembre