Si chiamava frate Rodio (1743-1814), di vocazione anacoreta. Ci ha messo una quindicina d’anni per scavare a mani nude un cunicolo nello sperone tufaceo antistante il borgo di Castel Sant’Elia , dal pianoro dove oggi s’appostano un convento di micaeliti e una chiesa ottocentesca, fino ad una sottostante grotta a strapiombo sulla valle Suppentonia. L’intero complesso è conosciuto come il Santuario di Santa Maria ad Rupes, uno dei posti più magici della Tuscia Viterbese.
Chi glielo ha fatto fare? La fede, il tempo a disposizione e la voglia di trascorrere gli ultimi anni della vita lontano da tutti e in silenzio. Il cunicolo è dotato di 144 gradini (una sorta di Scala Santa) che agevolano la discesa alla grotta (15 metri per 9 ed alta 4) dove si rimane emozionati di fronte a tutto: un’immagine tardo cinquecentesca della Madonna col Bambino in un piccolo altare, una reliquia di Giovanni Paolo II, la sepoltura di frate Rodio ed una statua di San Michele arcangelo simile a quella del Santuario omonimo in Puglia.
Il luogo è meta di pellegrinaggi soprattutto nel periodo pasquale ed a maggio. L’immagine della Madonna venne incoronata nel 1896 dal Capitolo Vaticano e, una seconda volta, nel 1964. dal card. Giuseppe Ferretto. Nel 1988 ha ricevuto la visita del pontefice Giovanni Paolo II. Dalla terrazza che s’affaccia sulla valle, si ammira una vista da sturbo.
Ma non finisce qui. Dalla grotta, attraverso un agevole viottolo, detto strada dei Santi, si scende a fondovalle, fino alla basilica di Sant’Elia (ricostruita su un precedente cenobio dell’VIII-IX sec. ). Un misto gradevole d’arte romanica e lombarda a ridosso di un mini cimitero frequentato da antiche salme. Tutta la zona era abitata da asceti e anacoreti, precursori di San Benedetto.
L’interno della basilica ci sorprende per un ciclo di affreschi di scuola bizantina e spezzoni architettonici di varie epoche, come tratti di pavimento cosmatesco, un pergamo del pontificato di Gregorio VI e un raffinato ciborio. Nella cripta riposano i santi patroni di Castel Sant’Elia, Anastasio e Nonnoso, ricordati il 2 settembre con la processione per le vie abbuiate del paese a lume di torce, dalla parrocchiale di S. Antonio abate fino alla basilica di S. Elia, dove vengono recate le reliquie dei patroni vegliate per tutta la notte.
Vi prendono parte il clero, i fedeli e le confraternite del Crocifisso e del SS. Sacramento Il giorno seguente è la volta delle manifestazioni popolari con musica dal vivo e degustazioni gastronomiche. L’11 gennaio, dies natalis di S. Anastasio ci celebra liturgicamente la morte miracolosa del santo e dei suoi confratelli.
San Gregorio Magno, ci informa che Anastasio (Uomo della Resurrezione) era notaio della Curia pontificia. Ritiratosi a vita ascetica nel monastero della valle Suppentonia (dove fu abate), condusse un’esistenza di totale dedizione a Dio, tra preghiera, castità e silenzio. Il racconto della sua morte ha del soprannaturale. La notte dell’11 gennaio dell’anno 511, dall’alto della rupe si udì una voce che chiamava Anastasio ed altri sette frati, indicandoli per nome. Dopo pochi giorni morirono tutti, uno alla volta, secondo l’ordine della chiamata.
Un ottavo fraticello, come dice Gregorio Magno, che non faceva parte di quel manipolo di “eletti”, implorò Anastasio sul letto di morte perché anche lui potesse raggiungere il cielo. Il desiderio si avverò ed il fraticello, per intercessione di Anastasio, morì poco dopo. Questa scena dei frati che vengono chiamati da Dio e ottengono la morte come premio ad una vita di stenti e sacrifici è descritta in due affreschi, rispettivamente, nella basilica di Sant’Elia e nella chiesa parrocchiale di Sant’Antonio, all’interno del paese.
E Nonnoso? Probabilmente più giovane di Anastasio, di cui era amico, era originario di Sant’Oreste. Visse nel VI secolo, negli anni di san Benedetto condividendo con lui una nuova forma di santità che sperimentò nel ritiro del monte Soratte, dove si era appartato per riflettere e pregare. Da Gregorio Magno viene descritto come uomo umile e santo. Fu monaco benedettino ed appartiene, dopo l’era dei martiri, a quel gruppo di asceti ed eremiti che raggiunsero la santità, imponendosi all’attenzione delle persone, non più per la morte violenta ma per i patimenti che infliggevano alla loro vita, nel desiderio di emulare le sofferenze patite da Cristo. Morì probabilmente nell’anno 560.
Dal momento che tutti i Santi finiscono in gloria, per una pizza (ma non solo) c’è da scegliere tra gli agriturismi Rio Vicano, Tiresia e il Contado dove è anche possibile trascorrere un fine settimana esclusivo.
L’autore*
Console di Viterbo del Touring Club Italiano. Direttore per oltre trent’anni dell’Ente Provinciale per il Turismo di Viterbo (poi Apt). È autore di varie monografie sul turismo e di articoli per riviste e quotidiani. Collabora con organismi e associazioni per iniziative promo-culturali. Un grande conoscitore della Tuscia.