Tuscia in pillole. Monache “indiavolate” all’Unione di Viterbo

di Vincenzo Ceniti*

Obbedisco alla “chiama” di Andrea Maurizi e Simona Mainella che a nome di Comune di Viterbo e Atcl (Associazione teatrale comuni Lazio) sono alla ricerca di ricordi, aneddoti, curiosità e racconti sul teatro dell’Unione nell’ambito di un progetto che vuole recuperarne memoria e smalto. Per farlo tiro fuori dal cassetto un mio vecchio scritto sulla stagione inaugurale del 1855 (dal 4 agosto al 25 settembre). Il programma prevedeva tra l’altro l’opera lirica “Robert le Diable” di Giacomo Meyerbeer (Berlino 1791-Parigi 1864) inserita dall’impresario Vincenzo Jacovacci col titolo modificato dalla censura papalina in “Roberto di Piccardia”. Sconosciuto ai più, il melodramma destò curiosità, ammirazione e qualche polemica. Nel manifesto della stagione troviamo scritto “Dramma lirico di Eugén Scribe del M° Meyerbeer colle analoghe danze del 2° e 3 ° atto, per cui nelle sere che si produrrà tale opera non si darà il ballo isolato”. Di quale ballo si trattasse non ci è dato sapere. Nel programma figuravano anche Viscardello (titolo originario di Rigoletto di G. Verdi anch’esso castigato dalla censura), Maria di Rohan di G. Donizetti e il grande ballo di Giuseppe Rota il Fornaretto.
“Roberto di Piccardia” venne dato l’8 agosto con il tenore parmense Emilio Naudin (1823-1890), cantante di grande prestigio in quegli anni, accademico di Santa Cecilia, che viene ricordato per la sua prima interpretazione di Vasco da Gama nell’Africana dello stresso Mayerbeer. La prima ballerina fu la celebre Augusta Maywood (1825-1876). Nell’occasione il Teatro dell’Unione venne illuminato, per la prima volta, da un impianto a cera che destò grande ammirazione non solo a Viterbo..
Il lavoro di Meyerbeer, probabilmente primo esempio di Grand Opéra (Opera di grande spettacolo) dopo le esperienze dell’Opéra-comique d’impronta settecentesca, è considerato una pietra miliare del nascente melodramma romantico. “Robert le Diable” veniva da venticinque anni di successi, dal debutto del 1831 all’Opéra di Parigi, dovuti ad una favorevole combinazione di fattori come la novità del testo francese (dopo il predominio di quelli in italiano e in tedesco), il mistero, il fantastico Medioevo (che ispira la leggenda duecentesca di Roberto duca di Normandia), il Male, il Bene, l’amore per la donna virtuosa e l’eroe. Nel sottofondo covano le passioni, i satanismi e i sabba infernali, mentre nella scena si accenna ad una Palermo normanna del XII secolo. Le cronache annotano che nei primi tre anni di rappresentazioni (dal 1831 al 1834) l’opera venne rappresentata un centinaio di volte in vari teatri d’Europa. Un successo con pochi precedenti che continuerà negli anni successivi.
Nella scelta di questo titolo per l’inaugurazione dell’Unione c’era soprattutto l’esigenza di fare stupore, notizia e cassetta, considerato che la partitura accoglieva un intrigante e seducente “Balletto di monache” che al solo dire sollecitava pensieri a dir poco morbosi da parte di benpensanti o meno della Viterbo papalina di allora. In quei primi decenni dell’Ottocento il balletto stava entrando prepotentemente negli spartiti delle opere liriche, non tanto per ragioni estetiche, quanto per assecondare le attenzioni dei mecenati del tempo (ma non solo), rivolte soprattutto alle ballerine. Riguardo all’orchestrazione, siamo di fronte ad organici rafforzati in tutte le sezioni, proprio per accentuare spettacolarità e tensione, con cori numerosi e possenti. Altri esempi di Grand Opéra sono considerati il Guglielmo Tell di G. Rossini, i Vespri Siciliani e il Don Carlos di G. Verdi e il Faust di C. Gounod.
Il balletto del ”Robert”, con la coreografia del grande Filippo Taglioni (purtroppo andata perduta), evoca suore defunte vestite di bianco che escono dalle tombe in un chiostro in rovina ed abbandonato per sedurre l’indemoniato personaggio e fargli accettare un talismano (un ramoscello magico) che gli avrebbe consentito di vincere un torneo cavalleresco e di conquistare, così, l’amata principessa. Le monache sono guidate dalla loro badessa Héléna che ordina ai fantasmi di ballare un valzer. Nonostante i loro voti sacri, le suore si abbandonano a coreografie “empie” e sensuali. Svolazzano come falene tra un coro di demoni e sguardi attenti e interessati dei signori uomini. .
I viterbesi ebbero modo di assistere ad uno spettacolo del tutto nuovo che oltre ad aver rivoluzionato la storia del melodramma, fu di ispirazione a numerosi artisti, vedi la tela di Edgar Degas del 1871 con monache gaudenti che si trova al Victoria e Albert Museum di Londra. A Viterbo fu la prima volta che il titolo dell’opera cambiò in “Roberto di Piccardia”. In quell’anno 1855 si registrò anche una rappresentazione ad Edimburgo in Scozia. In precedenza venne data alla Pergola di Firenze nel 1840, alla Fenice di Venezia nel 1845, alla Scala di Milano nel 1846. Al San Carlo di Napoli verrà rappresentata nell’anno successivo a quello di Viterbo, nel 1856.

Nella cover, la scena del terzo atto dell’opera “Roberto di Piccardia” alla ”prima” di Parigi nel 1831. In alto, dipinto di E. Degas che si ispira al Balletto delle monache.

 

L’Autore* 

Console di Viterbo del Touring Club Italiano. Direttore per oltre trent’anni dell’Ente Provinciale per il Turismo di Viterbo (poi Apt). È autore di varie monografie sul turismo e di articoli per riviste e quotidiani. Collabora con organismi e associazioni per iniziative promo-culturali. Un grande conoscitore della Tuscia.

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