Per Natale mi sono fatto il regalo di firmare la prefazione nel libro di Maria Rita Santoni Bastianini “Vietato disturbare i ricordi” che è stato presentato nei giorni scorsi a Viterbo davanti a un pubblico divertito e interessato. Un dossier di novelle “senza pretese”, come le definisce l’autrice, sulla Viterbo del dopoguerra, sostenuto dalla memoria e da fonti personali prive di contaminazioni esterne. E di regalo si è trattato dal momento che ho trovato piacere e serenità nel leggere quelle pagine zeppe di personaggi, feste, modi di vivere e sorridere, mangiare e giocare, pregare e amare, che fanno la mini-storia di una comunità.
Subito don Oreste, lo zio prete parroco di San Faustino, che dispensava provvidenziali consigli e ostie non consacrate da sgranocchiare come si farebbe oggi con le patatine fritte. Nel forno di Caterina su cui ristagnavano profumi estremi di patate rosolate, si faceva salotto in attesa di ritirare il testo ripieno di abbacchio, pollo, coniglio e dolcetti fatti in casa. Lo “struscio” del sabato sera con le amiche lungo il Corso Italia era pensato ad incontri con ragazzi che si permettevano di dire “Vi possiamo accompagnare?”.
Più concreti i dialoghi nella norcineria sotto la Torre di via Saffi con i clienti che si chiamavano per nome “Sora Lucì, ho messo via le cotichette di prosciutto, le volete per i fagioli in umido? “ Alle scuole “Rosse”, come le chiamano a Viterbo per il colore della facciata dell’edificio, nelle classi i maschi erano separati dalle femmine, il calamaio era sistemato nel buco del banco e i pennini si conficcavano nel cannello. Su tutto un rassicurante alito di minestrone preparato nella sala mensa. Tra due fette di pane casareccio preparate dalla mamma per la colazione si rifugiavano frittate, salumi e marmellata fatta in casa.
Quando nelle passeggiate domenicali si poteva arrivare accompagnati dai genitori alla stazione di Porta Romana fuori le mura, era un rito la sosta al chiosco bar della “Sora Eugenia”, mezza donna, mezza befana, rintanata dietro il bancone e pronta a dispensare aranciate, maritozzi con l’uvetta, liquirizie, lecca lecca, confetti e caramelle. Oggi al suo posto sorge uno snack per gli apericena. Senza parlare delle osterie, approdi istituzionali per mariti momentaneamente liberi dalle grinfie delle mogli e alle prese con briscole, tresette, quartini e toscani. Le insegne portavano nomi coloriti come “L’Osteria del Zoppo” dove si andava a riempire il boccione per il consumo di casa.
Guai a chi toccava Pizzecacio. Faceva parte della brigata di personaggi mitici della città, insieme a Peppo l’Oca, Schiggino, la Caterinaccia, Alfio, Peppe Tramontana, Armidoro ed altri. Il nostro Pizzecacio (soprannome mai chiarito) operò nel primo sessantennio del secolo scorso e viene ricordato per le caldarroste, i coriandoli, le stelle filanti, i tric trac e i gelati. Quando arrivava col suo carrettino era un festa e si correva dalla mamma “Mamma, i soldi, i soldi, c’è Pizzecacio, sbrigati!”. Se si andava al cinema Genio per un bianco e nero con Gregory Peck o Esther Williams, te lo trovavi all’ingresso con un cartoccio di caldarroste preparate in un braciere a fuoco lento su un bidone annerito e un panno di lana per tenerle al caldo.
La “lattarola” sotto casa, dal volto colorito e rotondo e dal nome ignoto ci riporta ai tempi di quando il latte si vendeva sciolto e si misurava utilizzando un recipiente di latta di un quarto, mezzo litro e un litro. Era sempre una fortuna andare a cena d’estate nella trattoria campestre del Ciriciaccolo” poco prima della chiesetta delle Farine sulla Cassia sud. Oggi non c’è più. Qualche rimpianto anche per i giochi nel vicolo sotto casa; “campana”, “stornavello”, “tappetti” “inguattavito” (inutile tradurli in italiano). “Il vicolo era tutto per me – annota l’autrice – e non l’avrei scambiato con nessun altro luogo”.
Che dire della colazione di Pasqua? La mattina di quel santo giorno, alla nove, la famiglia si riuniva intorno alla tavola per affrontare tutti insieme pizze, affettati, cioccolata calda, uova sode e di cioccolata e brindisi con vino e spumante. A Natale oltre al rito del “vellutino” per il presepio e alla vivacità delle vie del centro storico con zampognari e pifferai, non si poteva fare a meno del “cenone” che si concludeva con i maccheroni con le noci, la tombola e la messa di mezzanotte.
Con i suoi racconti, Maria Santoni mette in crisi l’adagio “Guardiamo al passato per costruire il futuro”. I ricordi che cova nel suo cuore potranno anche contribuire a rafforzare i fondamentali per il domani, ma sono soprattutto per l’autrice un ristoro intimo e un costante compiacimento per i doni ricevuti dalla vita. Figli e nipoti in testa.
Nella foto, alcuni ragazzi giocano in strada a “tappetti” (Viterbo anni Sessanta, collezione Galeotti)
L’autore*
Console di Viterbo del Touring Club Italiano. Direttore per oltre trent’anni dell’Ente Provinciale per il Turismo di Viterbo (poi Apt). È autore di varie monografie sul turismo e di articoli per riviste e quotidiani. Collabora con organismi e associazioni per iniziative promo-culturali. Un grande conoscitore della Tuscia.
La rubrica “Tuscia in Pillole” tornerà all’inizio di gennaio 2025.
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