Un paria in pieno centro storico. Graffiti, sporcizia e abbandono per palazzo Calabresi residenza del pittore Pietro Vanni

di Salvatore Enrico Anselmi

Palazzo Calabresi, facciata principale

Mentre si discute in città circa la destinazione che potranno avere Insulae architettoniche di grande rilevanza storica come palazzo Gallo a Bagnaia, l’ex sede della Banca d’Italia, non ultimo  il complesso  carmelitano dei Santi Giuseppe e Teresa, oggetto di un recente convegno promosso da Archeotuscia finalizzato a scongiurare la paventata e deprecabile trasformazione in mercato agricolo al coperto, mentre i lavori di restauro delle ex scuderie della Rocca Albornoz languono da tempo, persiste lo stato di abbandono anche di un altro tassello mancante all’appello di un piano di rivalutazione del centro storico di Viterbo: palazzo Calabresi. L’edificio, dapprima Orsini nel XVI secolo, poi Marsciano e quindi passato nel XVII secolo alla famiglia che ancora lega il suo nome alla denominazione dell’immobile, costituisce una sorta di vero e proprio palazzo palinsesto che testimonia il succedersi   degli interventi di costruzione, ampliamento e decorazione nel corso del tempo.

L’elemento  saliente  dell’iconografia del prospetto principale, suddiviso in tre registri sovrapposti distinti da cornici marcapiano, consiste nella decorazione graffita a motivi decorativi a corsi paralleli di bugne fittizie ed elementi ornamentali fitomorfi. Ascrivibile alla committenza Marsciano, costituisce uno dei rari esempi di quella tecnica decorativa che Giorgio Vasari definiva, in ragione delle sue caratteristiche esecutive, dialettica nei confronti sia della pittura che dell’incisione, che della scultura. Altre testimonianze in tal senso sono costituite a Viterbo da palazzo Lunensi, dal cosiddetto palazzetto della Pace, dalle ex scuderie di palazzo Nini.

Palazzo Calabresi è incuneato in un’area urbana centralissima, in prossimità di via Roma, sulla quale si protende un ulteriore affaccio contratto di questa che fu anche la residenza del pittore viterbese Pietro Vanni (1845-1905), il quale ridefinì, in clima di revival neogotico, propriamente tale sezione. Il costruito sorge, nel suo complesso, nelle vicinanze di piazza delle Erbe, a ridosso del palazzo novecentesco delle poste, ed è caratterizzato anche da un fronte secondario su via   dei Magazzini.  Su questo prospetto si apre un loggiato tripartito, con archi a tutto sesto impostati su colonne di ordine tuscanico a superfici e modanature lisce. Una cubatura sottostante, in aggetto rispetto  al  piano   d’imposto   dell’estensione   muraria   del fronte, ha fatto supporre che questo potesse essere il nucleo più antico coagulatosi intorno a un profferlo medievale, quasi del tutto abraso, che ne costituirebbe l’unica testimonianza parzialmente superstite.

Dopo alcuni interventi di restauro negli anni Novanta del Novecento, dopo l’allestimento nel 2001 di una mostra d’arte contemporanea “Post Arte/Arte”, allestita con la curatela di chi scrive, allo scopo di sottoporre lo stato di abbandono   all’attenzione   degli   amministratori e dell’opinione pubblica, il palazzo è caduto nella dimenticanza.

È ritornato agli onori della cronaca soltanto nel 2022 quando sembrava essersi aperto un barlume a seguito dell’accordo intercorso tra la Regione Lazio, proprietaria dell’edificio, e la Provincia di Viterbo alla quale l’immobile è stato concesso in locazione, allo scopo di attuare i definitivi interventi di messa in sicurezza, restauro e ripristino con finalità socio-culturali (si rimanda in proposito all’articolo pubblicato TusciaUp in quell’occasione https://www.tusciaup.com/la-provincia-riceve-palazzo-calabresi-in-affitto-dalla- regione-lazio-per-riqualificarlo-e-stata-la-residenza-del-pittore-pietro-vanni/226261)

Anche in questo caso si è trattato solo di uno sprazzo primaverile  che per la sua transitorietà non è stato in grado di squarciare le nuvole stanziali sullo stato di conservazione e tutela dell’edificio? Sembrerebbe proprio di sì. Dal 2022 a oggi è di nuovo sceso il silenzio. Un silenzio assordante se si considera lo stato in cui versa l’intero isolato nel quale sorge il palazzo. A seguito di un sopralluogo propedeutico alla redazione di questo articolo le condizioni complessive confermano l’estrema precarietà della situazione attuale.

La facciata principale è sfregiata da graffiti in più parti del registro inferiore. Essendo via Calabresi utilizzata come parcheggio, rimangono evidenti   ancora   segni   e   striature   che   hanno   abraso   l’intonaco   in   alcune porzioni, dovute allo sfregamento si immagina di specchi retrovisori e parti della carrozzeria dei veicoli che transitano in zona e sostano a filo. La soglia del portale di accesso, a bugne lisce e radiali nella centina, è infestato da erbe spontanee. Permangono rotti e in precario equilibrio i vetri di alcune finestre, costituendo un pericolo per l’incolumità dei passanti.

E già a questo grado d’osservazione, da questa prospettiva, con tali segni dell’incuria stride l’aulica solennità degli encarpi e delle palmette raggiate che caratterizzano i due fregi ad altezze distinte. Le manchevolezze e le abrasioni contrastano con l’iconografia tracciata   dalle bugne fittizie deputate ad assicurare, con eloquio grafico, il chiaroscuro delle superfici.

Ma si tratta ancora di un degrado contenuto. E sembra surreale constatarlo e scriverlo in quanto già intollerabile in una città civile, in una «città d’arte e di cultura».

A chi si avventuri in via dei Magazzini da via Roma, a pochi passi da Piazza del Plebiscito, infatti, l’abbandono è desolante e ultimativo, come accade solo per i non luoghi, per le discariche, per le periferie ostracizzate dai piani regolatori   miopi, per i centri storici   depauperati di risorse per il loro risanamento, per gli spazi contro i quali si è accanita la superficialità degli sguardi girati altrove.

Non è questa la città che i viterbesi meritano!

L’immondizia è abbandonata ovunque, gli edifici che fronteggiano il prospetto secondario   del palazzo delle poste sopravvivono, transennati e pericolanti, gli intonaci e le murature sono erosi diffusamente, degrado, rifiuti e bottiglie abbandonate fanno ipotizzare che la via, conclusa dal prospetto secondario di palazzo Calabresi, sia ricettacolo e luogo di riunione per sbandati nelle ore notturne. Lo stesso prospetto secondario è in preda alle erbe   infestanti, all’erosione   delle   acque meteoriche, a   forme   di   risalita capillare e ristagno dell’umidità, al ruscellamento sulle murature dell’acqua piovana   a causa   di sistemi di convogliamento manchevoli o danneggiati.

Diffuse le soluzioni di continuità degli intonaci, di fatto non più in essere, che portano in evidenza le sottostanti murature. E l’erosione si sta da tempo accanendo contro queste che sembrano le soluzioni di continuità di bestiali fauci cariate. La loggia, benché protetta da una rete, è infestata dai piccioni che svolazzano all’interno, e le finestre dei piani superiori, mancanti di infissi e superfici vetrate sono tamponate in modo posticcio.

Fa sorridere la notizia, risalente a qualche anno fa ormai, relativa alla rimozione di quantità imbarazzanti di guano, perché altrettante cubature nel frattempo si saranno ammassate all’interno. Anche   Viterbo è dunque nel suo piccolo, nel suo cuore medievale e moderno, luogo di esiziali contrasti. Dopo aver deplorato lo stato di abbandono e il degrado, infatti, è sufficiente girarsi e tornare sui propri passi per coprire a ritroso lo stesso percorso e ci si stupisce dell’incombenza e della vicinanza della torre dell’orologio di piazza del Comune a ridosso della quale è ubicato questo luogo ormai negletto come un paria mal tollerato e non soccorso, come l’accattone maleodorante che si ignora e contro il quale si voltano le spalle invece che porgere soccorso.

A pochi passi dai palazzi delle amministrazioni locali questo paria stenta nella sua grama sopravvivenza e attende di essere salvato dall’ annullato io della memoria a breve termine.

 

L’Autore

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Salvatore Enrico Anselmi è docente, storico dell’arte e scrittore. Suoi interessi precipui di ricerca sono relativi alla committenza artistica delle famiglie aristocratiche a Roma e nel Lazio in età moderna e barocca. È autore di monografie e di studi specialistici sui Farnese, sui Giustiniani e sui Maidalchini Pamphilij apparsi in: “Storia dell’Arte”, “Bollettino d’Arte”, “Rivista dell’Istituto Nazionale di Storia dell’Arte”, “Studi Romani”. Ha preso parte a convegni nazionali sui sistemi residenziali nobiliari nel Seicento in Italia (Accademia dei Lincei, Centro Studi sulla Cultura e l’Immagine di Roma). Alle attività di ricerca affianca la scrittura narrativa. È autore di due romanzi: Exitus, Roma 2019 (selezione Premio Mastercard); Passaggi di proprietà, Padova 2022 (in concorso al Premio Campiello e al Premio Comisso 2022). La sua raccolta di racconti Luci d’ombra (Padova 2023) ha partecipato al Premio Settembrini e al Premio Mastercard. Tali pubblicazioni sono state segnalate, tra l’altro, dalla Società Dante Alighieri. Suoi racconti sono apparsi in “Nazione Indiana”, “Critica Impura”, “Racconticon”. Sue raccolte di poesie sono state pubblicate in “Poeti oggi”.

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