Una Chiesa in…. “Piazza”

Don Gianni Carparelli

Vescovo Piazza

Mentre aspettiamo il Vescovo appena nominato per Viterbo: Orazio Francesco Piazza. Porta con sé e da sempre due nomi di spessore: il grande poeta Orazio grande uomo pratico e poeta, e il grandissimo Francesco nato nel 1182, asceta e profeta di una Chiesa cristiana, non solo battezzata. Mi permetto di volare con la fantasia e le speranze che fanno parte, anche se io sono un dilettante, della poesia e della profezia. Ma sarebbe ora, dato che si parla tanto di Chiesa Sinodale, di portare questa chiesa in “Piazza”, in modo da mettere insieme: realtà, poesia, speranze, profezia, impegno di vita e portarla quasi in una processione senza statue ma con persone viventi e vive. Una Chiesa che esca dalle sagrestie, come si dice, e vada incontro, senza timore, alla realtà non raramente ferita e confusa. Le sfide sono tante: la povertà che non è solo economica, il disagio delle migrazioni, bambini e figli non raramente più abbracciati alla TV e ai gadget che non all’affetto e alla guida di chi li ha messi al mondo, gente senza lavoro che deve arrangiarsi e non sempre in modo accettabile, chi desidera avere il diritto di decidere quando lasciare questa vita se dovesse diventare “senza vita”, i non pochi e poche che non soddisfatti o convinti della propria anatomia cercano di capire i cammini degli affetti che nascono dal cuore e non dalle membra, anziani considerati troppo anziani seduti e parcheggiati fuori delle dimore dove si sentirebbero a casa, i tanti che parlano di progetti di pace e che si arricchiscono nelle fabbriche di strumenti che non sono trattori, ma carri armati, gravidanze non volute né prevenute che conducono a decisioni (secondo me, anche se le rispetto) un po’ affrettate senza pensare alla vita che nasce e cresce lentamente e da un inizio di vita, sposi e fidanzati che trasformano il disaccordo in guerra a volte di morte, povertà non sempre povera di mezzi, ma a volte della capacità di costruirsi la propria indipendenza creativa e responsabile, minori sfruttati e in tanti modi (anche da persone dette “responsabili”) come se fossero giocattoli usa e getta… E poi perché non continuate voi che leggete, se leggete? La Chiesa, come la società in genere, non può entrare nella piazza della vita solo con candele accese e bandiere. Neppure sfoggiando statue e monumenti. Almeno che… almeno che le candele accese non portino noi con la nostra vita “accesa” e che le statue siano i nostri corpi (=vita vissuta) offerti a un mondo assetato e affamato di giustizia e di carità. Al vescovo Piazza che entra nell’arena viterbese il nostro abbraccio e la nostra presenza responsabile. Non per pulire i banchi delle chiese (che va fatto e con rispetto delle norme igieniche!), ma per pulire la storia di tutte e di tutti… senza distinzione. Per fare questo ci vuole saggezza e anche un po’ di follia, saper osare. Allora, credo, che il suggerimento del vescovo Piazza nella sua lettera del 7 ottobre scorso, quello di guardare in alto dissetandosi alla fonte della misericordia divina e partendo dall’umano creando quello spazio di “invocazione” vera, diviene un incontro-dialogo tra cielo e terra per una unica “carovana” in cammino. Ma dobbiamo osare, rinnovare. Lo diceva anche Orazio: “Dum licet, ignium misce stultitiam consiliis brevem: dulce est desipere in loco…finché puoi mescola uno sprazzo di follia alla saggezza perché ogni tanto è dolce folleggiare”. Mi direte che ci vuole tempo ed è vero, ma ho visto in tanti posti, anche a Viterbo, follia e saggezza camminare insieme. E a chi non ha timore se non quello di cambiare, ricordo R. Tagore: “Chi pianta alberi sapendo che non siederà mai alla loro ombra, ha almeno iniziato a capire il senso della vita”. Mi invito a unirmi, almeno spiritualmente, a coloro che “folli” come san Francesco e “saggi nella pratica” come Orazio, offriranno una mano a chi è stato invitato a incontrarci nella “Piazza” della vita di queste quattro mura già antiche, e non raramente stanche, della nostra “Vetus Urbs”. Ben arrivato, fratello Vescovo, sulle “scorciatoie” della comunione creatrice. E la nostra Chiesa si trasformerà allora in Liturgia vera, verso la settima dimora dell’incontro con il mistero di Dio.

Don Gianni Carparelli

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