Una vita sui campi di calcio raccontata in centoquaranta pagine di un bellissimo libro-racconto da leggere tutto di un fiato. Momenti esaltanti, altri forse meno, gli esoneri accolti come momento di crescita di vita, pagine indelebili nel suo cuore. Chi non conosce Rosolino (ma per gli amici che sono una infinità Lillo) Puccica alzi la mano, una entità che è entrata a pieno diritto nella storia seppure recente del calcio viterbese. Una passionaccia nata da quel boschetto dove si è innamorato di quella palla di cuoio che ne ha segnato la sua vita, sogni da inseguire, emozioni da vivere. Per conoscerlo basta guardarlo dritto negli occhi, gli arrivi dentro, nel suo animo, capisci le sue sensazioni, le sue emozioni che riesci a leggere come un libro aperto. Viso scavato dalle emozioni, dalla tensione, quella barba da fare che vuole dargli ancora più grinta. Non dorme prima, dopo, vuole rimanere solo con se stesso nel momento della partita, viverla intensamente. Lillo Puccica è un passionale, uno che dentro quel tappeto verde e poi fuori, ha prima imparato e poi insegnato tante cose. “Ricordo quando mi regalarono i miei primi scarpini da calcio – racconta con passione – me li lucidavo tutte le sere, me le portavo a letto”. Capranica per lui è stato il trampolino verso le grandi avventure, da calciatore con la maglia della Viterbese, quei colori marchiati a fuoco nel suo cuore, poi Civita Castellana. “La Viterbese è stata la mia seconda famiglia – racconta ancora – e non avrei mai voluto essere il suo avversario e proprio in quei momenti mi accorgevo quanto amavo questa squadra, mi sedevo in panchina e rimanevo come stordito dall’emozione fin quando una bella domenica ruppi l’incantesimo con un sonoro 4-1 sulla panchina della Cisco”. Poi l’inizio su una panchina, a Civita Castellana, l’inizio di una lunga serie di seicento panchine con club prestigiosi come Lodigiani, Fermana, Lanciano, Vasto, Olbia prima di tornare ad accarezzare il suo primo amore, la Viterbese anche se la felicità più grande è lo scudetto nel campionato Berretti con la Lodigiani. L’ultima stagione vissuta a Lumezzane dove aveva abbracciato un progetto importante, piazza ambiziosa, prima di tornare a casa e riabbracciare la sua famiglia. “La mia famiglia è stata fondamentale nella mia vita di allenatore, finché sei vinco va tutto bene poi magari ti allontani e tutto rimane sulle spalle di mia moglie alla quale debbo dire grazie per avermi regalato due figli meravigliosi”. Inevitabile non ricordare quello che Capranica ha dato al calcio, dal mitico Andreoli, per proseguire poi con tanti altri Romagnoli, Coletta, Calcagni anche se nel cuore rimane la figura di Manlio Morera: “Una storia meravigliosa – racconta Lillo – sentivo parlare della sua bravura, per me è stato un piacere conoscere un ragazzo straordinario, pieno di vita, meraviglioso. Mi chiedevo se un giorno sarei diventato bravo come lui”. E ora il ritorno a casa, una nuova avventura con quei ragazzi che lo seguono con gli occhi spalancati e la bocca aperta e che non si perdono una sola parola che suo credo che vuole trasmettere loro. La passione è la chiave per diventare campioni, il sogno che si coltiva da bambini per inseguire la felicità che in fondo non è altro che quello che si desidera fare. La mia vita calcistica somiglia alle montagne russe, scrive nel sui libro Puccica, su è giù, mai fino in cima, mai fino a terra. Ora Lillo aspetta con serenità la sua seicentunesima panchina con il sogno di chiudere il suo meraviglioso percorso proprio con quei ragazzi con i quali ha iniziato a muovere i primi passi. In bocca al lupo grande guerriero, te lo meriti per la tua passione, la tua lealtà, la tua sincerità e soprattutto per la tua preparazione che hai saputo trasmettere ai tuoi ragazzi.
Una panchina in cerca d’autore. Lillo Puccica presenta il suo libro
di Claudio Petricca