Via Cavour, fu il pregio della Viterbo Nuova poi la perdita del valore identitario

Luciano Costantini

Una strada dritta come una spada, capace di arrivare direttamente al cuore della città. Un’arteria di primaria importanza in grado di drenare il traffico proveniente dalla Cassia e dalla Cimina. Da Porta Romana e poi giù giù fino a piazza Fontana Grande e piazza del Comune. Ecco via Cavour, già via Farnesiana e via Napoleone. Semplicemente la via Nuova per i viterbesi più in là con gli anni. Una via maestosa, anche elegante fino a pochi anni addietro, ed oggi malinconicamente segnata da pochi e isolati punti di attrazione. Un percorso anonimo per guadagnare un improbabile capolinea del centro. In definitiva, con il trascorrere del tempo via Cavour è andata perdendo importanza e soprattutto identità. Quella che legittimamente le attribuiva il Cardinale Alessandro Farnese quando la concepì e la volle realizzare con determinazione estrema. Una via Nuova che, nel progetto del porporato, doveva diventare uno dei simboli più appariscenti della Viterbo Nuova, nel contesto di una gigantesca operazione di riqualificazione e abbellimento dell’intera città. E non solo: sotto il Cardinale Farnese fu ultimato anche il famoso Palazzo di Caprarola. Siamo intorno al millecinquecento. Alessandro intende lasciare un segno tangibile della presenza della sua potente famiglia che ha già dato alla Chiesa Papa Paolo III° che del Cardinale è il nonno. La zia, tanto per la cronaca, è la famosa Giulia la Bella. Il 15 ottobre del 1573 Alessandro convoca il Consiglio comunale nell’aula della Rocca e senza tanti preamboli presenta il proprio progetto, anzi lo impone: “Veggio che la vostra città cresce ogni dì di bene in meglio: il che mi piace e lodo assai. Ma vorrei che, insieme, attendessimo ancora all’ornamento: perché tutti i gentilhomini che passano da qui, dicono che questa città è una cascina. E questo procede, perché la strada maestra è storta, né passa per la piazza del Comune, dove si vederieno i palazzi e le altre cose più belle…Hora ho pensato e risoluto di fare una strada diritta dalla vostra Piazza del Comune a Fontana Grande…e perciò vorrei mettere una imposizione di un grosso (27 cent.) per ogni soma di grano che si macinerà…”. A testimoniare la determinazione e anche la fretta del Cardinale il primo colpo di piccone viene assestato il giorno dopo su una delle venticinque abitazioni destinate a essere demolite. Alla faccia dei vincoli e della burocrazia. E poi il Cardinale è il Cardinale e la Chiesa è la Chiesa: meglio evitare scontri. I denari per le espropriazioni? Ci penserà il Comune attraverso un cospicuo aumento delle tasse. Insomma, sarà l’erario cittadino a sostenere le spese per la costruzione della via Nuova. Costo complessivo 5.601 scudi. Il primo edificio ad essere raso al suolo è una “aromataria”, praticamente una odierna erboristeria, dello speziale Vincenzo Cobelluzzo, situata all’angolo di piazza del Comune. Le “cantonate” dei due edifici laterali, con tanto di stemmi e decorazioni, vengono disegnate e realizzate dall’architetto Giovanni Malanca. L’abbattimento degli immobili procede rapidamente fino all’altezza, metro più metro meno, dell’attuale via Annio dove sorge la chiesa di San Martino. L’esercito dei picconatori è costretto a fermarsi, ma neppure più di tanto. Anche la chiesa viene tirata giù insieme alla casa parrocchiale, cancellato l’annesso orto. La realizzazione della via Nuova deve andare avanti. E a pagare continua ad essere il Comune, cioè la collettività. Nel caso della chiesa di San Martino sono 578 gli scudi di indennizzo che sarano versati. E i parrocchiani? Semplice, dovranno “emigrare” presso la vicina chiesa di San Giacomo che intanto è in fase di restauro e ristrutturazione, sempre a spese del Comune che ha già stanziato 100 scudi. Il trasferimento però non è gradito dai parrocchiani se è vero che il Cardinale in visita al cantiere viene “assalito da una turba di beghine della parrocchia appostatevi dal Rettore Girolamo Pica, che con altissime strida lamentavano e accagionavano a lui la ritardata ricostruzione della chiesa”. Alla fine lo strappo viene ricucito anche se fa slittare di un bel po’ i tempi sulla tabella di marcia fissata dal porporato per il completamento della strada che viene aperta solo nel 1580. E’ pavimentata in mattoni. Una novità assoluta per i tempi in cui le vie cittadine sono degli acciottolati più o meno sconnessi. Stando alle cronache, soprattutto quelle relative alla contabilità pubblica, la strada alla fine costerà al Comune una somma enorme che sarà erogata nell’arco di più di dieci anni. I soldi saranno ricavati da tre imposte speciali: un baiocco per ogni cento libbre di grano da macinare; tre decimi sulla vendita del pane; un giulio, cioè una moneta papale, per ogni famiglia e focolare. Ovviamente, alla via viene attribuito il nome di Farnesiana in onore del Cardinale che l’ha pensata e voluta. Certo non pagata. Nel 1814 prenderà il nome di via Napoleone in omaggio all’Imperatore francese. Nel 1871 diventerà via Cavour per ricordare lo statista piemontese.

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