Il Signor Diavolo è un film Horror del famoso regista italiano Pupi Avati, tratto dal suo omonimo romanzo del 2018 ed uscito nelle sale cinematografiche nell’agosto di quest’anno. È un film che denuncia l’ignoranza e la superstizione clericale, fortemente radicate verso la metà del 1900 in Italia; soprattutto nel Veneto che è una delle regioni più cattoliche della nostra penisola.
Avati ha scelto di girare il suo film a Comacchio in quello spaccato di pianura padana umido, angosciante, nebbioso che crea un’ atmosfera di inquietudine e terrore appropriata per un film noir.
Il regista ottantenne si rivela un grande maestro nel ricostruire la realtà degli anni cinquanta. I volti, i vestiti, i luoghi sono quelli reali. La sua bravura di regista si svela nelle inquadrature, nella conduzione attenta degli attori, molti suoi fidati compagni di avventura.
Il film si ambienta nell’autunno del 1952, in Veneto. Qui è in corso un’ indagine per l’omicidio di Emilio, un adolescente ucciso perché considerato figlio del demonio, a causa delle sue deformità fisiche;di lui si dice che la madre lo abbia partorito dopo essersi accoppiata con un verro selvatico(motivo per cui ha una dentatura da maiale); e che abbia sbranato la sorellina a morsi. Sul delitto, commesso da un coetaneo della vittima e in cui parrebbero coinvolti un convento di monache e un sagrestano, indaga un pubblico ministero romano, Furio Mornentè.
Il film nel suo incedere si perde per strada in fatti incoerenti tra loro, spiegati troppo ma poco convincenti. La mano sapiente di Avati più che sulla cronografia della storia è messa tutta in direzione degli attori e nella scelta delle inquadrature, con molti grandangoli utili a far risaltare il meraviglioso e a tratti poetico paesaggio della campagna veneta, nel lento complicare della trama in un gorgo di sospetti, nel crescente spiegarla attraverso la psicologia dei personaggi, a partire dal piccolo protagonista fino alle molte figure di contorno, tra le quali Lino Capolicchio nei panni del parroco e di Gianni Cavina nei panni del sacrestano.
Nel cast i ci sono appunto Gianni Cavina sagrestano, Alessandro Haber esorcista, Chiara Caselli in gramaglie, Andrea Roncato in preda ai tormenti.
Pupi Avati è tornato dopo vent’anni, a quel tratto padano cui il regista bolognese ha fatto da apripista negli anni Settanta con “La casa dalle finestre che ridono” fino a “L’arcano incantatore” con un fare malinconico. Alla soglia di un’età protetta ci si può permettere di tutto o quasi, ritornando nei posti frequentati nei suoi primi lavori ma questa volta lasciando qualcosa di incompleto.