Fino a pochi anni addietro via Saffi era una tra le più importanti, eleganti, frequentate vie del centro di Viterbo mentre oggi è la testimonianza probabilmente più tangibile della sua desertificazione. Noris Angeli nel suo stradario antico divide il percorso in due parti proprio per la ricchezza di riferimenti storici che a via Saffi sono legati: da piazza delle Erbe a piazza Mario Fani; da quest’ultima a piazza Fontana Grande. Una passeggiata che potrà essere di aiuto e un piacere per chi ama abbandonarsi a una piccola, ma significativa full immersion nel passato di Viterbo (L.C.)
Via Saffi
Da Piazza delle Erbe a Piazza Fontana Grande
In origine questa via, che rappresentava un tratto del percorso urbano dell’antica strada romana, era denominata del Macello Minore per la presenza di un edificio prossimo alla ex chiesa di Santa Croce, già attivo nel 1225 e chiuso per esigenze igieniche nel 1452 a vantaggio del nuovo, detto Macel Gattesco o di Piazza, ubicato nei pressi di piazza Santo Stefano, per destinguerlo dall’altro pure duecentesco detto Maggiore, posto nell’odierna via Cardinal La Fontaine (V.M. Egidi, in Bollettino Comunale, 1933). Per rendere più comprensibili i cambiamenti delle intitolazioni succedutisi nel corso degli anni si ritiene opportuno dividere la strada in due settori. Il primo, compreso tra piazza delle Erbe, già di Santo Stefano, e l’altra Mario Fani, già di Santa Croce, come riferito era nel nome di via del macello minore mutato più tardi in via della Calzoleria Vecchia, per la presenza delle molte botteghe di calzolai e conciatori, per mutare in seguito in via dei Gesuiti (1818) e a partire dal 1890 in via Saffi. Nell’assegnazione ad altre parrocchie delle case già comprese in quella sopressa di Santo Stefano, a seguito della distruzione della chiesa omonima (1655), il 22 aprile 1656 viene più volte menzionata la via dei calzolari (Liber Ecclesiasticorum,1654-56, A.D.V). La targa con sopra il civico 10 sta ad indicare l’imbocco di un’apertura, detta vicolo del Forno, che aveva termine ai numeri 19-21 di via Orologio Vecchio dove era la locanda della Pecora trasformata poi nel forno a cuocere pane venale del convento della Trinità. Si osserva che nelle rare occasioni in cui è possibile l’acceso a questo diverticolo lo stesso sembra ancora percorribile. Il 16 dicembre 1724 il Seminario di Viterbo possedeva qui una casa che confinava da un lato con il vicolo che porta al forno del pan venale e il 26 gennaio 1809 era lo stesso Seminario a vendere a Giovanni Polidori una stanza con cantinozza in contrada il vicolo del forno una volta venale (A.D.V, Instrumenta). Presso la piccola largura adiacente l’antica chiesa di Santa Croce dei Mercanti era la cantina del Gallo che nel 1649 figurava nell’elenco dei beni del fu marchese Andrea Maidalchini (C. Pennacchi, notaio), e nell’Ottocento apparteneva al Seminario Vescovile di Viterbo. Il 15 marzo 1730 Margherita Rinaldi, parente del teologo e scrittore gesuitico Andrea Girolamo Andreucci, si trovava in difficoltà in quanto in occasione che si fanno di nuovo le strade, non ha modo di pagare la selciata di lastre che è stata fatta avanti la sua casa posta in contrada la Calzoleria Vecchia presso i beni da due parti del Collegio dei Gesuiti (Banconi, notaio). Più avanti, al numero 39, è l’elegante edificio appartenuto un tempo ai nobili Anfanelli (sec.XV), acquistato intorno alla metà del Settecento dai conti De Gentili i cui discendenti nel 1950 lo hanno alienato all’Amministrazione della Provincia di Viterbo che, dopo averlo fatto risorgere dalla devastazione bellica, ne ha fatto la propria sede. Al civico 49 corrisponde altro elegante edificio, a confine con il precedente, già appartenuto ai Caprini e ai Cordelli prima di divenire proprietà dei conti Galeotti. L’immobile fa corpo unico con il precedente. All’altezza del numero 55 si apriva il vicolo dell’Arcaccio, con termine in via Cavour 26, serrato con licenza comunale del 20 agosto 1743 dopo che il giorno 9 era stata avanzata pubblica richiesta di chiusura per motivi igienici (Buzi, notaio). Il secondo tratto che da piazza Santa Croce, oggi Mario Fani, ha termine in piazza Fontana Grande, in un certo periodo storico era detta via Panico, per la presenza della dimora della omonima famiglia iscritta al patriziato viterbese nel 1486. Fin dal secolo XVII mutò in via del Melangolo per l’esistenza in uno dei giardini della zona di una o più pianta di questo genere. Il 19 febbraio 1630 veniva stipulato un rogito nella bottega di Silvio Serpieri, falegname, posta nella via detta del Melangolo (Marinoni, prot.1485, notaio). Il 4 maggio 1681 l’Ospedale dei Convalescenti di San Carlo locava a Giovan Angelo Tasca una sua casa posta nella contrada del Melangolo (Instrumenta, A.D.V.). A volte veniva ricordata come via dello Spirito Santo o contrada dello Spirito Santo denominazione questa che, secondo lo storico Mario Signorelli (1965), le competeva già nel Quattrocento. Di certo il 24 ottobre 1579 il notaio Rosino Pennacchi, nel protocollo 1806 a carta 102, ricordava che in data 20 aprile 1571 l’ecclesiastico Giulio Medi, priore di Santo Spirito Serbetti di Viterbo, aveva locato ad Angelo Maffucci una casa del Santo Spirito posta nella parrocchia di Santo Stefano, presso i beni di quella chiesa e di Fabio Poggi. Il 27 novembre 1629 è riscontrabile in atti la casa che l’orefice Fabio Poggi possedeva nella contrada dello Spirito Santo, a confine con altri suoi beni e con quelli di Felice del Moro (Marinoni, prot.1484, notaio). Il 17 novembre 1637 veniva fatta memoria di come, essendo da alcuni mesi avvenuto matrimonio tra Giulia Volpari e Ludovico Pucitta, nella dotale della donna figurava anche una bottega ricontro allo Spirito Santo sotto la casa della signora Artemia Chigi coniugata ad Adriano Fani (C. Pennacchi, notaio). La casa dei coniugi Chigi-Fani corrisponde all’odierno civico 84, quindi dall’edificio di fronte traeva la denominazione questo breve tratto di strada. All’altezza del numero 71, riprodotta a fresco sul muro che fa cantonata, è una colomba, Spirito Santo, sovrapposta al Padre Eterno che tra le ginocchia tiene un Gesù crocifisso con la scritta Per grazia ricevuta di male contagioso, 1657, anno di pestilenza (Scriattoli, 1915-20). Il lavoro, d’ispirazione devozionale, è andato purtroppo perduto per incuria generale, un recente (2023), ma tardo restauro, ha riguardato soltanto il lacerto rimasto. La testa del moro scolpita sull’architrave del vicino palazzetto dichiara che qui aveva dimora la famiglia del Moro. Si ricorda infatti come il 5 ottobre 1584 Bernardino del Moro fu Lorenzo, con consenso dei fratelli Annibale e Vincenzo, concedeva ad Adriano Fani, marito di Artemisia Chigi, il bottino e la chiavica che passava sotto la sua cantina ad uso dell’immobile che il richiedente possedeva di fronte, oggi al numero 84, lo stesso che nel 1670 apparteneva ai nobili Gualterio e nel 1706 fungeva da Posta con la gestitone dalla famiglia Vergari. Il piccolo fabbricato al civico 75 nel Cinquecento era nella proprietà di Angelo Pezotti, speziale presso l’Ospedale Grande, al quale lo lasciò in eredità. Al numero 104 s’incontra il trecentesco palazzetto Braca-Colonna, detto impropriamente Poscia. Nel 1460 l’immobile era nella proprietà del cardinale Prospero Colonna di Lorenzo come erede Braca. Nel 1469 vi abitava Galiana Picca di Giovanni (Signorelli, Chiese, conventi, c.183), per cui corse in seguito voce che quella fosse stata la dimora della leggendaria Galiana morta per mano assassina nel 1158. Dalla metà del secolo XVII il bene apparteneva alla famiglia Annio. Il 28 febbraio 1718 l’ecclesiastico don Tommaso Annio risultava ancora proprietario di questa casa, posta nella via pubblica del Merangolo, ritenuta allora in affitto da Tommaso Petrini (Instrumenta, A.D.V.). L’edificio di fronte è distinto da un portale il cui architrave presenta un bassorilievo in pietra con San Martino e il viandante che è l’elemento superstite della omonima chiesa demolita nel 1575 per rendere più diritta e agevole la via Nova, odierna Cavour. Quasi al suo termine è la possente torre, detta del Melangolo. Da un rogito del 13 aprile 1532 risulta che Antonio di Giacomo di Montepulciano si trovava in carcere ad istanza di Giovanni da Prato il quale abitava alla Torre del Melangolo (G.A.Serpini, notaio). Poco più avanti è l’antica chiesa di San Giacomo la cui chiusura al culto risale a qualche lustro fa. Nel 1666 questo breve tratto di strada, definito l’arme d’oro o fontana grande, era prossimo alla Cappella dei Ss.Pietro e Paolo o meglio vicino ai beni spettanti a tale Cappella esistente nella chiesa di San Giacomo (Politi, notaio di Montefiascone). Nello specifico si tratta del triangolo compreso tra i civici 123-145 di via Saffi, 70-86 di via Cavour e 1-3 di via della Pace dove nella seconda metà del Cinquecento aveva abitazione il pittore Ludovico Nucci e nel Seicento buona parte delle costruzioni apparteneva ancora alla famiglia degli speziali Sterparelli che si era trasferita a Montefiascone.