Vittorio Storaro: laurea magistrale, ciliegina sulla torta della mia vita

Rossella Cravero

“La ciliegina sulla torta della mia vita” Così Vittorio Storaro ha commentato la laurea honoris causa in Filologia moderna che gli è stata conferita presso l’università della Tuscia. Il maestro della luce nella lectio magistralis ha portato tutti i colori della sua arte. Si è raccontato dagli esordi fino ai grandi successi che lo hanno visto impegnato sul set dal ’68 ad oggi. Il suo rapporto con Bernardo Bertolucci che “scriveva con la macchina da presa”, il bianco e nero prima e la visione dei colori dopo. “L’azzurro nel Conformista è nato perché ho sentito quella luce che avvolgeva Parigi e all’imbrunire si faceva fredda. Nei sopralluoghi per l’Ultimo Tango, quando a mezzogiorno ho visto la città con le luci accese, nelle case e nei negozi, ho avvertito il caldo della luce artificiale ed è venuto fuori quel tono arancione. Era una mia visione, l’ho fatto seguendo un piano emotivo, non avevo ancora la consapevolezza del significato di ogni colore. Ho cercato sempre un equilibrio tra luce e ombra”.

“E’ Il mito della caverna di Platone ad avermi ispirato per la sequenza Il Conformista e se ci si pensa bene quel mito è la metafora del cinema: dove i prigionieri siamo noi che assistiamo allo spettacolo, il fondo della caverna è lo schermo, il fuoco è come il proiettore, e il mito ci dice una cosa: nell’arte cinematografica non c’è realtà, ma c’è immaginazione, c’è interpretazione, il modo di poter essere credibili, ma il cinema della verità non esiste è  tutta interpretazione”. “Quando Francis Coppola mi cercò per Apocalypse Now, dopo essersi innamorato del Conformista gli risposi che io con un film di guerra non c’entravo nulla. Mi rispose di leggere Cuore di tenebra; il suo non voleva essere un film di guerra, ma sul senso delle civilizzazioni. Allora capii che c’era una denuncia fondamentale: qualsiasi cultura che si sovrappone ad un’altra compie un atto di violenza, anche se nella storia dell’umanità se non ci si incontra, pur scontrandoci, non si avanza, perché si cresce insieme, mai da soli”.

“Ad un certo punto ho capito che volevo stare a casa e studiare cosa c’era all’interno della luce e scoprire il significato dei colori e di quello che avevo fatto prima. Sono stato fermo un anno. Ho ampliato il mio vocabolario visivo. Prima per me c’erano il nero il grigio e il bianco. Adesso, il bianco si poteva dividere in 7 colori. Bertolucci si esprimeva con l’inconscio: la luce rappresenta tutto ciò che è cosciente, l’ombra è destinata all’inconscio e allora gli propongo per l’Ultimo Imperatore una relazione tra i momenti della vita e i colori. Il rosso è la nascita: quando viene estratto dalla madre. I primi anni nella città proibita vedono imporsi l’arancio, poi c’è il giallo quando viene incoronato perché è il colore della coscienza, poi arriva il verde che rappresenta la conoscenza, l’azzurro, quando viene cacciato dalla città proibita, rappresenta la libertà, quando torna al ruolo dell’imperatore arriva l’indaco, e poi infine il violetto il colore che io sto vivendo adesso dopo i 70 anni ed è la coscienza di chi siamo stati, di chi siamo e di quello che vorremo lasciare. Alla fine la trovata della neve bianca è diventata il simbolo che ha unito le tutte esperienze delle diverse età che lo hanno portato a essere un uomo maturo, e il cerchio si è completato. Come ha detto Leonardo Da Vinci: i colori sono i figli dell’ombra e della luce”.

La laurea honoris causa a Storaro è nata da una proposta condivisa del Dipartimento Disucom e Dafne, in una sintonia progettuale tra aria umanistica e scientifica dell’Ateneo. “Vittorio Storaro ha mostrato una speciale vocazione nel dare spessore drammaturgico alla luce – ho sottolineato il professor Giovanni Fiorentino, direttore del Disucom, nell’illustrare le motivazioni dell’onoreficenza – Storaro ha sempre creduto nell’arte e nella scienza dell’immagine, maestro della narrazione attraverso la luce, traduce le idee in immagini, racconta storie rendendo le immagini, attraverso la variazione luminosa, un ritmo musicale. Una personalità complessa quella di Storaro, un intellettuale capace di coniugare in un equilibrio fragile la consapevolezza del sapere e l’abilità del saper fare, un equilibrio che oggi l’università riconosce essere alla base di modelli nuovi e più virtuosi di apprendimento e conoscenza in sintonia con le richieste di un mondo che cambia senza rinunciare alla libertà della speculazione teorica e della ricerca scientifica”.

 

 

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